Secondo gli storici, invece, la vite compare in Sicilia portata da Micenei e Fenici, intorno al XV sec. a.C. I più antichi palmenti di Sicilia si trovano ancora fra le colline che circondano Capo d’Orlando, in provincia di Messina, l’antica Agatirso o Agatirna, fondata dal figlio di Eolo, il re dei venti incontrato da Ulisse.

Furono Greci, Fenici o Micenei a pigiare le uve in quelle conche di arenaria, collegate con un foro ad una vasca posta più in basso;nacquero di fronte alle Eolie i vini più antichi di Sicilia e gli abitanti di quelle zone non si dovettero fare pregare per provarne le piacevoli ebbrezze, magari esagerarono: è provato dalla Storia. Infatti, quando i Romani arrivarono, furono deportati in blocco in Calabria perché “dediti tutti a culti dionisiaci”.

Non conosceva il vino Polifemo. Non era “civile” abbastanza, perché, ricordiamolo, il vino è cultura e civiltà; saranno Ulisse ed i suoi compagni ad ubriacarlo per scappare celandosi sotto il vello delle pecore. Proprio il latte di quelle pecore serviva a fare il cacio: è la prima testimonianza letteraria del pecorino siciliano.

Per i nostri antenati greci, il vino fu bevanda d’uso comune.

Sembra si trattasse di un vino forte ma, date le tecniche praticate all’epoca, inacidiva rapidamente, per questo aggiunsero dei liquidi per ritardarne o mascherare l’acidità. Si usò l’acqua del mare, il miele ed anche tante spezie.

Nacque in Sicilia l’uso di conservarlo in anfore di coccio, dato che in Grecia si soleva conservarlo in otri di pelle di capra. Le anfore, di materiale poroso, erano spalmate di resina di pino o di catrame per impermeabilizzarle dall’interno, o spesso, solo per sigillarne il tappo. Da qui l’etimologia di “retsina”, il vino resinato bevuto ancora oggi in alcune zone della Grecia.

Curiosamente il vino era bevuto liscio solo al mattino, mentre a pasto si serviva diluito in acqua. Meglio ancora, a fine pasto, come un digestivo.

A quei tempi, con il termine di “symposion” s’intendeva il brindisi dei convitati e non, come oggi, l’intero banchetto. Con il vino si sgranocchiava frutta secca, si servivano dolcetti di sesamo e ciambelline.

Erano escluse le donne, un segno di rispetto, per carità, anche per evitare loro gli “atti degenerativi” del convito, come le parolacce, le volgarità e qualche manata o avance da parte di qualcuno dei commensali ridotto, per dirla con Dioniso, come un asino.

In privato e fra loro, alle donne greche di Sicilia, fu consentito bere del vino, cosa che fu ritenuta disdicevole per le signore romane di buona famiglia.

Un convito, a quel tempo, prevedeva anche giochi di società come il “cottabo” ed il “catacto”, lanciando il vino residuo delle coppe!